Por Stefano Magni
Fuente: La Nuova Buss la Quotidiana
30 de octubre de 2017
Per la Settimana Sociale della Chiesa, è bene farsi provocare da una lettura controcorrente: A difesa del mercato di padre Robert Sirico (Cantagalli, 2017, pag. 259). Padre Robert Sirico, di New York, è figlio di immigrati italiani. I suoi nonni partirono in nave, da Napoli, alla volta degli Stati Uniti in cerca di fortuna. Nel primo viaggio, suo nonno aveva in tasca solo 50 dollari. Tutta la sua famiglia, nel corso di due generazioni, è riuscita ad emanciparsi e a godere di un benessere che i primi emigranti non immaginavano neppure. Nel 1990, per diffondere le idee che sono alla base di questo miracolo economico, Sirico fondò l’Istituto Acton per lo studio della religione e dell’economia. E’ sua ferma convinzione che il mercato non sia solo il miglior strumento di lotta alla povertà in tutto il mondo, ma anche l’unico sistema in cui possa essere rispettata la dignità umana. Ed è per questo che la sua è una lettura assolutamente controcorrente in un momento in cui, sia cattolici che laici, sembrano tutti concordare sul fatto che la dignità umana vada tutelata nonostante o contro il libero mercato.
Per una tesi così ovvia, ma al giorno d’oggi così controcorrente, padre Sirico ricorre, nel primo capitolo, alla narrazione della sua storia personale, una storia di conversione. Nato cattolico, non ebbe le risposte che cercava da un prete troppo tiepido. Le trovò in uno dei numerosi gruppi protestanti della West Coast in cui si era trasferita la sua famiglia. Divenne attivista pacifista e progressista. Combatté tutte le battaglie degli anni ’70 per i nuovi diritti: diritto alla pace, diritti delle donne, diritti delle minoranze, diritti dei gay, “In quei giorni, ovunque ci fosse un sit-in io c’ero, ovunque ci fosse una manifestazione di protesta io avevo un cartello in mano. Leggevo Marx e lo trovavo noioso. Ascoltavo una conferenza dell’intellettuale radical chic Herbert Marcuse e la trovavo chiara come il linoleum. Ma la sensazione di cambiamento, cioè che i giovani potessero fare qualcosa di significativo per le generazioni successive, che le persone potessero vivere senza essere dominate da altri, queste sì erano idee eccitanti”. Questa eccitazione si sciolse come neve al sole in un fumoso incontro di intellettuali progressisti. Fu in quella occasione, che il giovane Sirico si rese conto che i suoi amici miravano alla violenza, ma non volevano il bene, tantomeno il benessere, dei poveri per cui si battevano. Volevano la rivoluzione permanente, il potere, la lotta di classe, ma trovavano volgare l’idea che una proletaria, un domani, potesse permettersi una borsa di Gucci.
Fu quasi per caso che Sirico entrò in contatto con un intellettuale conservatore, che lo iniziò a letture in difesa del libero mercato. Si fece una cultura economica che servì a rispondere a molte sue domande e a distruggere i miti della sinistra socialista. Ma al di là della tecnica, Sirico comprese, soprattutto con la lettura degli economisti della Scuola Austriaca, come Mises e Hayek, che l’homo oeconomicus non esiste. Che l’economia classica ha creato questo modello teorico che, nella realtà, non corrisponde ad alcun uomo in carne ed ossa. Gli uomini scelgono, creano, vivono, agiscono, in base a criteri razionali e irrazionali, ragionando o di impulso, in base alla loro fede o mancanza di fede. E sono ognuno diverso dall’altro, non riassumibili in alcun modello. Fu così che a Sirico tornò la passione per l’uomo, quello vero. Una passione che era iniziata da bambino, quando scoprì casualmente, sul braccio della sua vicina di casa di origine tedesca, la signora Schneider, un tatuaggio fatto di numeri. “Mamma, perché ha dei numeri blu sul braccio?” aveva chiesto a sua madre. E lei gli aveva risposto con un esempio: “Hai presente quando guardi i film western con i cowboy?” “Sì, risposi io” “Hai presente quando i cowboy vogliono prendere al lazo un vitello e lo mettono sottosopra?” Dissi: “certo”. Mi chiese ancora: “Cosa fanno dopo?” “Marchiano la bestia sulla schiena”, risposi. E lei mi chiese ancora: “Sai perché lo fanno?” Risposi che lo fanno perché così tutti sanno che la mucca è di proprietà di quel cowboy. Allora lei mi disse: “Hai ragione, è proprio così. Il signore e la signora Schneider vengono da un paese in cui le persone sono state trattate come animali. Pensavano che fossero di loro proprietà e quello che tu ora vedi sul suo braccio era come un marchio. E’ proprio per questo motivo che devi sempre essere gentile con loro, perché hanno visto uccidere tutta la loro famiglia e sono venuti qui nel nostro paese per trovare rifugio. Sono profughi e sono venuti qui per stare al sicuro”.
“Perché Dio ti ha creato?” aveva chiesto una giovane suora a un Sirico intento a prepararsi alla Prima Comunione. “Dio mi ha creato per conoscerLo, amarLo e servirLo in questo mondo e, in questo modo, essere per sempre felice con Lui nella vita futura”, aveva risposto allora. Ma solo a decenni di distanza e studiando economia, aveva colto il senso di quel che aveva detto: “Noi siamo, inoltre, fatti a immagine e somiglianza di un Creatore per essere creativi (come Lui)”. Il mercato libero non è un toccasana, non è una bacchetta magica, ma è quel sistema che permette all’uomo di essere libero di scoprire, creare, scambiare, donare, cooperare, competere per il bene proprio e degli altri. E’ un sistema moralmente neutro, in cui si può agire anche per il male degli altri e per il proprio. Ma è comunque l’unico che, non forzando scelte, non impone il male. Non impone il marchio a uomini trattati come bestie, come nei sistemi collettivisti e totalitari.
Sirico procede per più di duecento pagine con la difesa appassionata del sistema di libero mercato. Una difesa fatta a domande e risposte, contro tutti i pregiudizi, vecchi e nuovi, che i socialisti nutrono nei confronti del libero mercato. E che si può riassumere in questo suo ragionamento solo apparentemente contro-intuitivo: “Il socialismo, che professa di avere come scopo e obiettivo il benessere della società, ha ripetutamente e costantemente causato danni, disagi, carestie e morte ovunque è stato applicato. Il capitalismo, che pretende di concentrarsi sul benessere individuale, finisce per sostenere il bene comune”.
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